La generazione dell’apparire

Smartphone, tablet e computer rivestono oggi un ruolo fondamentale nella nostra vita, basta guardarsi intorno. In treno, al bar, in strada, tutti, o quasi tutti, con lo sguardo abbassato, sedotti da smartphone, sempre e costantemente connessi.
I social network stanno modificando rapidamente lo stile della comunicazione umana e se ciò da un lato agevola le nostre condizioni di vita, dall’altro stanno portando all’eliminazione della comunicazione face to face.
Bisognerebbe chiedersi, se l’utilizzo dei new media sia realmente efficace o se l’abuso di quest’ultimi ci stia portando ad un’estraneazione dalla realtà, dove l’apparenza domina sulla sostanza.
La questione è tanto più delicata se prendiamo in considerazione i nativi digitali i quali fin dalla nascita vivono in simbiosi con tali mezzi.
Un contributo importante, in tal senso, è stato offerto dai dati raccolti in seguito alla somministrazione di questionari ad adolescenti delle scuole superiori. È stato chiesto loro la tipologia di utilizzo dei social network (nello specifico Instagram) e l’influenza che quest’ultimo esercita su diversi fattori, tra i più importanti abbiamo: la percezione di se stessi e dunque della propria immagine, la qualità delle relazioni sociali e familiari nella realtà, la solitudine. Dall’analisi di tali questionari si evince che:

quasi la totalità del campione esaminato ha un account Instagram. Chi condivide più frequentemente selfie e immagini del proprio fisico ha, rispetto a chi posta immagini divertenti, maggiore ansia rispetto al proprio corpo e si preoccupa maggiormente su cosa gli altri possano pensare del proprio aspetto fisico. Le femmine, ad esempio, utilizzano maggiormente e in maniera più narcisistica Instagram rispetto ai maschi.
Il risultato ottenuto da tale lavoro di ricerca, rispecchia il quadro sociale dei nostri giorni.
In particolar modo risulta importante, se non fondamentale, essere apprezzati a “colpi di like”, se ciò non avviene ci si sente amareggiati, delusi, sbagliati.
Viviamo nell’era del narcisismo dove ciò che conta è solo ed esclusivamente apparire.
Sarà colpa dei social network, che ci forniscono nuove e facili opportunità di metterci in vetrina? Se lo chiedono gli psicologi, che hanno moltiplicato sempre di più le ricerche sul tema.
Negli ultimi anni i casi di disturbo narcisistico della personalità sono aumentati drasticamente.

Narcisocial

Il primo comandamento dei narcisi è “farsi vedere”. Narciso, nella mitologia, si specchia nell’acqua beandosi di se stesso, e per i narcisi la visibilità viene prima dell’ammirazione, precede il giudizio di valore altrui.
Se c’è chi si limita a un post ogni tanto, c’è chi sui social vive anche di notte, chi si sveglia per controllare se ha un follower o un like in più.  Chi non si riaddormenta se la sua foto su Instagram non sta avendo il successo che si aspettava.
Il bisogno di essere ammirati arriva dopo quello di esserci e farsi vedere. Avere un riscontro, un feedback, un like, molti followers, diventa una dipendenza.
Quando si attraversa un momento di difficoltà il computer e le sue risorse illimitate possono ridurre notevolmente lo stato di disagio sperimentato, l’ansia o la solitudine, offrendo opportunità di svago e alleggerimento della mente (un veloce calmante che devia dal problema vissuto in quel dato momento).
Si rischia in questo modo di instaurare un circuito vizioso per cui, ogni volta che si è in una situazione conflittuale, si preferisce tornare a distrarsi creando una dipendenza, non una soluzione al problema che invece permane e, anzi, viene così alimentato.

Certamente è molto difficile valutare se e quando un uso eccessivo del web si trasformi in un problema vero e proprio. Molti giovani e meno giovani passano ormai una quantità significativa di ore sul computer senza per questo sviluppare forme di dipendenza. Quello che diventa un segno della eventuale presenza di un “problema”riguarda il modo in cui l’uso di internet riduce la qualità relazionale e interattiva dell’individuo nella sua quotidianità.
La condizione dell’utente 2.0 è di una doppia esistenza che oscilla di continuo tra l’essere e il poter essere, ossia tra una realtà fisica di cui l’uomo fa biologicamente parte e una realtà virtuale che, è oggi piuttosto palpabile e sempre più diffusa.
La maggior parte degli utenti online non si chiede quale sia il proprio stato in rete, ossia se abbia consapevolezza del poter esistere online, ma, più semplicemente, si limita a vivere inconsapevolmente la condizione interattiva

Nei social network avviene proprio questa continua interazione tra un mondo personale ossia quello del proprio diario e, un mondo collettivo quello della rete sociale in cui l’utente si esprime e compie le azioni.
Esiste, dunque, una relazione complementare tra l’individuo e il gruppo sociale di cui è parte che consente al primo di modificarsi a seconda delle esigenze svolte dalla comunità. Fondamentale è ricordare che dire identità online non sempre vuol dire identità reale, cioè vera.
Numerosi sono i casi di false identità nate con fini non certamente lodevoli.
Quotidianamente assistiamo a storie di  cyberstalking, cyberbullismo, odio online.
Un dato preoccupante è che l’età dei minori coinvolti si sia abbassata notevolmente, indice di una manifestazione sempre più precoce di tali condotte.
Fenomeni, dunque, messi in atto, da giovani e giovanissimi, sintomo che quest’ultimi sono sempre più allo sbaraglio nella rete ed ignari delle gravi conseguenze di tali atti.
A chi bullizza basta un solo click per far diventare un video virale in poche ore, può agire in diversi modi come ad esempio: pubblicando fotografie, video o informazioni private della vittima, divulgando maldicenze attraverso messaggi di testo con il cellulare o con la posta elettronica, oppure mettendo in atto minacce ripetute tramite il cellulare o gli strumenti elettronici.
Chi si difende incontra invece mille difficoltà e spesso rimane in silenzio per paura o per vergogna.
Dunque, sorge spontaneo chiedersi, cosa si può fare per eliminare o almeno arginare tale fenomeno?
Partendo  dal presupposto che non vi è un’unica modalità d’intervento funzionale, fondamentale è educare i giovani ad un utilizzo corretto e sano di tali mezzi di comunicazione.
Pertanto “non si devono demonizzare o vietare le tecnologie, non si deve fare terrorismo psicologico rispetto ai pericoli della rete”ma bisogna educare ad un utilizzo consapevole, prendendo in considerazione rischi e opportunità.

 

Bibliografia:

Amerio P., Arruda A., Attili G., Banchs Maria A., Bonaiuto M., De Grada E., Jost John T.,. Kruglanki Arie W, McGuire W., Percorsi teorico-critici in psicologia sociale, FrancoAngeli, Milano, 2013.

Bontempi M., Pocaterra R., I figli del disincanto. Giovani e partecipazione politica in Europa, Mondadori, Milano, 2007.

Calvino I., L’avventura di un fotografo, in “Gli amori difficili”, Oscar Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993.

Ghezzani N., L’ombra di Narciso: Psicoterapia dell’incapacità di amare, Franco Angeli, Milano, 2017.

Riva G., Psicologia dei nuovi media, il Mulino, Bologna, 2008.

Zhao S., Cyber-gathering places and online-embedded relationships. Paper presented at the annual meetings of the eastern sociological society, Boston, 2006.

Illustrations acknowledgements:
A.Romi / Studioromi.it
Mrsiraphol / Freepik.com
E-star enjoy today / Estar.eu