Lo Djed: la spina dorsale del dio Osiride

Avvolto tutt’ora nel mistero, lo Djed (o Zed) è un simbolo di grande importanza per la cultura egizia. Raffigurato più volte in molti dipinti egizi e realizzato sotto forma di amuleto o feticcio, questo simbolo rappresenta la spina dorsale del dio Osiride.
La spina dorsale, per gli egizi, era la sede del fluido vitale e lo “Zed” simboleggia infatti la stabilità, la vita eterna, l’essere opposto al divenire.
Secondo l’egittologia classica, lo Zed sarebbe la raffigurazione di un albero che si ricollega alla leggenda di Osiride. Osiride, che rappresenta la resurrezione, viene raffigurato come un albero che, in una zona arida e sabbiosa come il deserto egiziano, prende la vita dal Nilo.
Questo simbolo viene associato al dio Osiride solo durante il Nuovo Regno (1.543 – 1.069 a.C.). Nell’Antico Regno (2.700 – 2.195 a.C.) infatti veniva associato al dio demiurgo della città di Menfi, Ptah, dio creatore, patrono degli artigiani e degli architetti e dio della conoscenza e del sapere. Nell’iconografia è raffigurato come un uomo mummificato con barba, che tiene fra le mani uno scettro composito con l’ankh (simbolo della vita), l’uas come bastone del potere, e il djed (simbolo della stabilità).
Nei sarcofagi del Nuovo Regno, lo Zed è raffigurato spesso in maniera antropomorfa, con arti superiori ed inferiori, mentre regge simboli di potere come il pastorale ed il flagello.

 

Frammenti di decorazioni di mobili in forma di pilastro djed. Legno, Nuovo Regno, XIX Dinastia, regno di Ramesse II (1279-1213 a.C.). Valle della Regina tomba di Nefertari.
Fonte: Museo Egizio di Torino
Foto: Archivi Studio Romi
Amuleto a forma di pilastro djed.
Fonte: Museo Egizio di Torino
Foto: Archivi Studio Romi
Frammento di bassorilievo con presenza del simbolo djed.
Fonte: Museo Egizio di Torino
Foto: Archivi Studio Romi

 
 

Un modello 3d in “diorite”

Per apprezzare, a tuttotondo, la plasticità della forma, della linea, della superficie, chi scrive, a scopi di studio, ha ritenuto opportuno generare un modello tridimensionale del simbolo Djed. Il modello è stato realizzato in una scena di riferimento su piani cartesiani, partendo da un primitiva “piano”, ossia un modello tridimensionale rappresentante primitive geometriche. Selezionando una singola faccia, si è estruso lungo l’asse delle Y, ovvero lungo la sua altezza, avendo così un maggiore controllo e precisione sulla shape finale, che, attraverso le opportune trasformazioni, diventerà un poligono a sé stante composto esattamente da 13.718 poligoni: unità che indica l’insieme complessivo di vertici, segmenti e facce. Le trasformazioni più utilizzate nel processo di creazione sono: “omotetia” (scale tool), “rotazione” (rotation tool) e “traslazione” (move tool). Il simbolo dello Djed presenta molti angoli e lati smussati: a questo proposito si è voluto provvedere applicando ad ogni angolo e lato un bevel di frazioni e gradi diversi e con l’aggiunta di uno o più segmenti. Le fratture, invece, sono state realizzate attraverso delle booleans e “ripulite” in seguito con un multi-cut per avere una geometria più gestibile.

Frammento di diorite

L’analisi del soggetto ci porta anche allo studio del materiale di cui sarà composto, di modo da realizzare shape idonee nel modello prima della lavorazione del materiale in texture.
Il materiale analizzato e utilizzato in questione è: la diorite. La diorite è una roccia intrusiva intermedia, come composizione chimica e mineralogica, fra la famiglia del granito e quella del gabbro, estremamente dura e molto difficile da lavorare e da scolpire. E’ così dura che antiche civilizzazioni, come gli antichi Egizi usavano sfere di diorite per lavorare il granito. La sua durezza, tuttavia, non ha impedito a questa civiltà di lavorarla finemente realizzando vasi, scettri e intarsi di pregevolissima fattura. Storicamente la diorite è stata utilizzata anche come base per l’intarsio di iscrizioni; famoso è il Codice di Hammurabi, realizzato su di una colonna in diorite nera alta 2,13 m. Nel Museo Egizio di Torino, ad esempio, vi sono diverse statue, realizzate in questo materiale, tra cui alcune risalenti a Cheope. Per la realizzazione del materiale sono state utilizzate molte reference proprio di queste sculture, per ricavarne una mappa albedo, normal e roughness quanto più verosimile possibile.

 

 

Illuminazione e shading

Lo shading (lett. “ombreggiatura”) è il processo di determinazione del colore di un determinato pixel dell’immagine. Esso comprende in genere il processo di illuminazione (lighting), che ricostruisce l’interazione tra gli oggetti e le sorgenti di luce: a questo scopo sono necessari per un modello di illuminazione le proprietà della luce, le proprietà di riflessione e la normale alla superficie nel punto in cui l’equazione di illuminazione viene calcolata.

Scena di riferimento

Per produrre una rappresentazione visuale dell’immagine efficace, bisogna simulare la fisica della luce. Il modello matematico più astratto del comportamento della luce è l’equazione di rendering, basata sulla legge di conservazione dell’energia.
Essa è un’equazione integrale, che calcola la luce generata in un determinato punto, sommata all’integrale della luce riflessa da tutti gli oggetti della scena che colpisce quel determinato punto. Questa equazione infinita non può essere risolta con algoritmi finiti, quindi necessita di approssimazione. I modelli di illuminazione più semplici considerano solo la luce che viaggia direttamente da una sorgente luminosa ad un oggetto: questa è chiamata “illuminazione diretta”. Il modo in cui la luce viene riflessa dall’oggetto può essere descritto da una funzione matematica, chiamata “funzione di distribuzione della riflessione bidirezionale”, che tiene conto del materiale illuminato. La maggior parte dei sistemi di rendering semplifica ulteriormente e calcola l’illuminazione diretta come la somma di due componenti: diffusa e speculare. La componente diffusa, o Lambertiana corrisponde alla luce che viene respinta dall’oggetto in tutte le direzioni, quella speculare alla luce che si riflette sulla superficie dell’oggetto come su uno specchio. Il modello di riflessione di Phong aggiunge una terza componente, ambientale, che fornisce una simulazione basilare dell’illuminazione indiretta. Nella scena qui rappresentata abbiamo la presenza di tre luci principali: una ambient light, una omni light ed una direct light. La ambient light tende ad illuminare tutto il modello in modo omogeneo, la omni light  qui utilizzata, invece, è di una maggiore intensità ed è di colore bianco, illumina la faccia frontale e la faccia destra. Per bilanciare la scena la direct light, che illumina le restanti due, ha un colore scuro, come il blu o il viola e tende a simulare l’ombra.

 

Zed, immaginazione tecnologica?

Fantasiose ipotesi fantascientifiche affascinano da sempre un numero costantemente crescente di appassionati. Secondo alcuni studiosi, infatti, lo Zed non sarebbe solo un simbolo ma una vera e propria torre, situata all’interno della piramide di Cheope esistita intorno al 10000 a.C. in grado addirittura di rallentare il tempo, se posta in relazione con un altro straordinario oggetto ritrovato nella grande piramide: la “vasca di granito rosa” sita all’interno della cosiddetta “Camera del Re”.
Secondo lo studioso italiano Mario Pincherle, ingegnere, (Bologna, 9 luglio 1919 – Bientina, 23 settembre 2012), la Camera del Re si troverebbe proprio al centro di questa straordinaria torre e la piramide non sarebbe altro che un enorme coperchio creato al solo scopo di preservare lo ”Zed”.

Camera del re, vista assonometrica

In una delle rare iscrizioni presenti all’interno della Piramide di Cheope troviamo una definizione: “il luogo in cui si trova l’eternità” o “il luogo in cui si trova lo Zed”.
Lo “Zed”, per l’archeologia ufficiale è il simbolo di Osiride e sarebbe, comunque, antecedente la civiltà egizia, raffigurante, oltretutto, la fertilità e il grano, o in altra interpretazione, porta per il passaggio all’oltretomba. Lo “Zed”, infatti, indicherebbe la vittoria di Osiride su Seth, la vittoria della vita sulla morte; ecco il perché della sua ricorrenza nei geroglifici di molte tombe e al collo di molte mummie.
Si ipotizza, nientemeno, che il pilastro possa essere una sorta di “smaterializzatore”. Come sostenuto dagli scritti egizi, il faraone diveniva energia pura ricongiungendosi con gli dei, come se stesse attraversando un portale spazio – temporale.

E se lo “Zed” avesse proprio uno simile scopo? A questo proposito vi è una citazione piuttosto singolare: “Egli vola, egli vola! Egli vola lontano da voi, o uomini! Non è più sulla terra, egli è giunto nel cielo! Egli è balzato al cielo come un airone, ha baciato il cielo come un falco, è saltato verso il cielo come una cavalletta!” “Dove vai dunque o mio figlio?- Egli si reca fra gli dei che sono nel cielo, e divide il loro pane… “ (da Il mondo del Nilo, E. Erman, Gius. Laterza & Figli Editori-Bari 1950).
In un passo famoso del Libro dei morti Osiride disse: “In verità io non sono morto, ma vivo all’interno dello Zed” (Cap.XIX), in un altro si parla dello Zed come di un ponte fra il nostro mondo e quello dove abita Osiride, lo Zed è il firmamento, l’ancoraggio del cielo alla Terra.
Sono stati finora scoperti tre tipi di Zed: a 5 strati, a 4 strati e a 3 strati. Pincherle sostiene che ogni strato rappresenti la discesa sulla Terra di un dio: 5-Gesù; 4-Osiride; 3-Krisna, mentre degli altri due non se ne ha conoscenza.

Tutto ciò è solo frutto della fervida immaginazione dell’uomo, oppure queste ipotesi possono in qualche modo rappresentare delle verità nascoste e far nuova luce su ciò che consideriamo una delle civiltà più affascinanti e misteriose del nostro pianeta?

 

Bibliografia:
Egitto la terra dei faraoni. Schulz Regine, Seidel Matthias (a cura di). Editore: Könemann, Köln, (1999).
Mirko Sladek, La stella di Hermes. Frammenti di filosofia ermetica, Milano, Mimesis Edizioni, 2005.
Grande enciclopedia dell’antico Egitto, a cura di Edda Bresciani, Novara, 2005.
M. Pincherle, La grande piramide e lo Zed, Macro Edizioni, 2000.
M. Pincherle, Il Gesù proibito 2000 anni di paganesimo cristiano, Diegaro di Cesena, 1997.
Andreucci Giacomo, SketchUp. Modellazione 3D e geomodellazione, Edizioni FAG, Milano, 2012, pp. 512.
Rogers, David; Earnshaw, Rae (31.10.2001). Computer Graphics Techniques: Theory and Practice. Springer, 399.
John Kundert-Gibbs, Peter Lee – Maya 5 Guida completa – Apogeo Editore.
Computer Grafica tecniche & applicazioni, Fascicoli N° 6, 11, 14, 15, 18, 21, 42, 46, 52, 56, Imago Edizioni.
3D professional, Numeri 1 e 2, Imago Edizioni.